Perché vengono utilizzati e perché è importante ridurne l’utilizzo
I solfiti sono utilizzati nel processo di vinificazione principalmente per prevenire l'ossidazione del vino e proteggere il vino dall'azione di batteri e altri microrganismi che possono causare alterazioni indesiderate. Nello specifico le sue funzioni principali sono:
- Antiossidante: La SO2 protegge il vino dall'ossidazione, preservando il colore, il sapore e l'aroma del vino.
- Antimicrobico: I solfiti impediscono la crescita di batteri e lieviti indesiderati che possono causare difetti nel vino o addirittura farlo diventare aceto.
- Stabilizzante: La SO2 si lega a molecole instabili nel vino, come i fenoli, prevenendo la formazione di composti indesiderati e garantendo una maggiore stabilità nel tempo.
Tuttavia, i solfiti possono causare problemi di salute in alcune persone, come reazioni allergiche o asma. Inoltre, l'uso eccessivo di solfiti può alterare il sapore e l'aroma dei vini e può danneggiare l'ambiente.
Per questo motivo, i produttori stanno cercando di ridurre o eliminare completamente l'uso di solfiti, per migliorare l’immagine di naturalità del vino e per rispondere alla richiesta dei mercati. In Europa il limite massimo fissato per legge è di 150 mg/L come SO2 totale per i vini rossi e 200 mg/L per i vini bianchi e rosati contenenti un massimo di 5 g/L di zuccheri riduttori (Regolamento (UE) 2019/934).
Tecniche per ridurre l’impiego dei solfiti
Una recente ricerca del Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università degli Studi di Torino pubblicata sul magazine VVQ - Vigne, Vini & Qualità, a cura di Susana Río Segade, Camilla De Paolis, Maria Alessandra Paissoni, Simone Giacosa, Enzo Cagnasso, Alberto Caudana, Luca Rolle e Vincenzo Gerbi; ha evidenziato l’esistenza di diverse tecniche che possono consentire di evitare/ridurre il ricorso ai solfiti, tra cui le strategie di protezione dall’ossigeno in fase di ammostamento:
- l’uso di ghiaccio secco o gas inerti
- la gestione della temperatura e dei rimontaggi
- l’iperossigenazione dei mosti bianchi
- l’estrazione ‘a caldo’ della materia colorante per i vini rossi
Ci sono però due fasi della vita del vino che ad oggi non trovano soluzioni facili senza solfiti: l’affinamento in legno e l’imbottigliamento.
Nel primo caso il rischio da microflora anomala (Brettanomyces, batteri lattici indesiderati, ecc.) è veramente molto elevato e la diminuzione del ricorso al diossido di zolfo, insieme a una crescita notevole dei valori del pH, sono sicuramente tra le cause dell’aumento dei difetti da fenoli volatili nei vini rossi. Nel caso della conservazione del vino in bottiglia, l’assenza di solfiti ne riduce drasticamente la shelf-life.
Alcune strategie per diminuire l’utilizzo di solfiti sono:
- L’utilizzo del lisozima con attività antimicrobica, contro la proliferazione dei batteri Gram-positivi. Il lisozima è un enzima isolato dall’albume d’uovo e, a causa della possibile presenza di allergeni, deve essere dichiarato sulle etichette dei vini se rilevabile a concentrazione pari o superiore a 0.25 mg/L (Direttiva 2007/68/CE). Il lisozima ha un’azione distruttiva sulle pareti cellulari dei batteri sensibili (Gram-positivi), come i batteri lattici, ma la sua attività è inibita dalla presenza di elevate concentrazioni di polifenoli.
- l’utilizzo dell’acido sorbico ad azione antifungina. L’acido sorbico viene aggiunto come sorbato di potassio, è limitato ai vini dolci e ai prodotti parzialmente fermentati, preferibilmente all’imbottigliamento per evitare rifermentazioni, e sempre in combinazione con SO2 libera per prevenire reazioni ossidative e qualsiasi attività batterica. Anche per l’acido sorbico è fissato per legge un limite massimo di 200 mg/L nel prodotto finale (Regolamento (UE) 2022/68) a causa dei possibili effetti negativi sulla salute umana.
- l’utilizzo di dimetildicarbonato (DMDC). Esso è in grado di inibire i microrganismi, in particolare i lieviti, reagendo irreversibilmente con i gruppi amminici dei siti attivi degli enzimi cellulari. Tuttavia, l’azione contro i batteri è limitata. Nel vino il DMDC si idrolizza rapidamente in diossido di carbonio e metanolo, quest’ultimo soggetto a limiti di legge.
Nell’Unione Europea, il DMDC è consentito solo per l’aggiunta in vini con contenuto di zuccheri residui pari o superiore a 5 g/L e l’aggiunta deve essere attuata solo poco tempo prima dell’imbottigliamento (Regolamento (EU) 2022/68). - l’utilizzo del chitosano. Un polisaccaride derivato dalla chitina efficace contro Dekkera/Brettanomyces bruxellensis e Oenococcus oeni, sebbene il suo effetto antimicrobico sia limitato nel tempo e non definitivo.
- l’utilizzo dell’acido fumarico (approvato nel 2021 da parte dell’OIV) al fine di controllare l’attività dei batteri lattici
- l’utilizzo dell’ozono, il quale è contraddistinto dal suo potere ossidante e disinfettante ad ampio spettro senza lasciare residui. Il trattamento delle uve con ozono ha ridotto la carica di lieviti apiculati e Brettanomyces bruxellensis con una minore produzione rispettivamente di acido acetico nelle fermentazioni spontanee e una significativa diminuzione degli etilfenoli nel vino (Cravero et al., 2016). Inoltre, è stata confermata l’azione protettiva sugli antociani e l'effetto elicitore dell’ozono sui composti volatili varietali, tra cui i terpeni (Río Segade et al.,2017).
- l’utilizzo di metodi fisici che sfruttano tecnologie emergenti per la riduzione dei microrganismi indesiderati nel vino, tra cui le alte pressioni, gli ultrasuoni, la radiazione ultravioletta e i campi elettrici pulsati. Tuttavia, questi metodi sono stati testati ancora solo a livello sperimentale ed è necessario validarli su scala industriale.
Per quanto riguarda l’attività antiossidante, i composti fenolici, il glutatione e l’acido ascorbico sono stati proposti per la loro efficacia nel processo di vinificazione. Tuttavia il consumo di ossigeno della SO2 risulta più rapido anche a dosaggi inferiori, fatta l’eccezione dell’acido ascorbico. Comunque, quest’ultimo deve essere utilizzato congiuntamente alla SO2 per catturare il perossido di idrogeno formato dall’ossidazione dell’acido ascorbico. Tra i tannini, gli ellagitannini hanno mostrato tassi di consumo di ossigeno più elevati, con valori inferiori in ordine decrescente riportati dai tannini di quebracho, tannini della buccia, tannini dei semi e gallotannini (Pascual et al., 2017).
Misurare la quantità di solfiti nel vino con l'HyperLab
L'HyperLab è uno strumento versatile e preciso per la misurazione dei solfiti nel vino. Utilizzando il metodo colorimetrico e un software dedicato, l'HyperLab è in grado di misurare sia la concentrazione di solfiti liberi che quella di solfiti totali nel vino. Questo consente ai produttori di vino di monitorare con precisione i livelli di solfiti durante il processo di vinificazione e di adeguare le loro pratiche per ridurre l'utilizzo di solfiti secondo necessità.
Nella stessa ricerca dell’università di Torino il nostro HyperLab è stato messo a confronto sperimentalmente con i due metodi proposti dall’OIV (aerazione- ossidazione e Ripper) analizzando quasi 70 campioni di vino, sia bianchi che rossi, contenenti quantitativi di diossido di zolfo libero compresi tra 10 e 35 mg/L di SO2.
I risultati ottenuti con il metodo colorimetrico di HyperLab sono stati confrontati con i due metodi OIV (metodo di riferimento e iodometrico) e ne è risultata una buona correlazione tra i metodi confrontati, con un valore del coefficiente di correlazione (R ≥ 0.92).
Il nostro HyperLab, oltre ad analizzare tutti i componenti del vino più importanti per via enzimatica, risulta anche un ottimo alleato per i produttori di vino che vogliono fare attenzione alla concentrazione di solfiti.